Si chiama Iptv: sul televisore tradizionale la nuova possibilità di scelte «interattive»

C'è una nuova battaglia televisiva all'orizzonte: riguarda la televisione via Internet. L'Iptv — in Italia offerta da Telecom (Alice), Fastweb e Wind— è la tivù che passa attraverso i cavi telefonici, si vede sul televisore e offre al pubblico nuove modalità interattive come la possibilità di registrare i programmi già trasmessi o quelli che andranno in onda nei giorni successivi. I numeri degli abbonati sono tutti in crescita, anche se ancora piccoli rispetto all'etere e al satellite. La Francia, che in questo campo è il Paese leader, chiude il 2008 con quasi 3 milioni di abbonati. Ma anche l'Italia — secondo stime di Augusto Preta di ItMedia Consulting — raddoppia i numeri e alla fine dell'anno dovrebbe contare 600 mila abbonati. Molto forte poi la crescita prevista nel medio-lungo termine a livello globale. Secondo la società inglese Informa, le case raggiunte dall'Iptv dovrebbero essere 57 milioni nel 2013, il triplo delle attuali. I presupposti di una nuova battaglia mediatica italiana ci sono tutti. «Per le telecom — dice Preta — l'Iptv (Internet protocol television, ndr) rappresenta un nuovo, potenziale generatore di ricavi, dal momento che quelli derivanti dalle telefonate sono inesorabilmente in calo. Per Sky è un canale aggiuntivo molto importante: non a caso in Inghilterra, dove ha 9 milioni di abbonati al satellite, dopo aver comprato Easynet Murdoch sta trattando l'acquisto di Tiscali UK per poter disporre di una piattaforma distributiva in più».

Al momento Tiscali Italia non sembra rientrare nel perimetro della trattativa. Da parte sua Mediaset, che sente sempre di più la concorrenza del tycoon australiano, ha un interesse speculare. «La società — dice Preta — sta investendo nella pay-tv, il mercato che cresce di più. E in questo mercato è destinata a competere a tutto campo con Sky». L'interesse di Mediaset si è visto anche recentemente in occasione della consultazione pubblica sugli impegni presi da Telecom Italia, in cui l'azienda del Biscione ha rivendicato la possibilità di offrire questo servizio come gli altri. Per identiche ragioni la società non è insensibile neppure all'ipotesi di scorporo della rete di proprietà dell' ex monopolista. Tale ipotesi oggi non va per la maggiore. Ma se, più realisticamente, si dovesse costituire una nuova società dedicata alla rete di nuova generazione (Ngn), magari con un ruolo della Cassa Depositi e Prestiti, è più che probabile che Mediaset voglia entrarci e non da spettatrice. L'Iptv, infatti, sarebbe un'arma in più — insieme al digitale terrestre — per fronteggiare il carro armato Murdoch. Il quale, va ricordato, dopo il 2011 potrà offrire il digitale terrestre e invadere a sua volta il campo Mediaset. La Sardegna — prima regione italiana e maggiore europea dove la tivù è soltanto digitale — è stata il primo teatro di questa nuova battaglia mediatica. Che rivela come i gusti televisivi del pubblico stiano cambiando. Pur senza mettere in discussione il predominio della tivù «maggiore», la redistribuzione degli ascolti premia i canali di nicchia, come avviene del resto anche negli altri Paesi europei. In particolare cresce la diffusione satellitare di Sky, che, secondo gli esperti, nel 2010 dovrebbe diventare la prima azienda televisiva per fatturato davanti a Rai e Mediaset.

I 600 mila abbonati all'Iptv italiana al momento sono in pratica divisi a metà tra Telecom Italia e Fastweb, con una piccola quota per Wind. L'offerta degli operatori telefonici è grosso modo simile: sia nelle modalità (la possibilità di registrare avanti o indietro) e sia nei contenuti (i canali in chiaro del digitale terrestre inclusi Rai, Mediaset e i canali Sky), con differenze che riguardano soprattutto il video on demand e la pay-per-view. La Rai sta rinegoziando l'accordo in esclusiva con Fastweb per il servizio Rai Click. E Telecom Italia sta trattando con Mediaset per offrire, a partire da gennaio, anche i canali premium a pagamento Mediaset: Joy, Mya, Steel, il calcio e il canale per bambini. Mentre Fastweb offre, tra l'altro, il calcio in pay-per-view de La 7. Tra gli ex monopolisti europei non c'è una formula univoca. France Telecom, per esempio, investe in contenuti e si trova a competere direttamente con le televisioni. «Noi — dice Franco Bernabè, amministratore delegato di Telecom Italia — seguiamo una strada diversa. Non intendiamo competere con i broadcaster. E usare l'Iptv per replicare la televisione tradizionale ci sembra faccia torto alle potenzialità del mezzo. L'Iptv può distribuire contenuti televisivi classici, come stiamo facendo mediante accordi con le aziende televisive, ma deve soprattutto replicare i contenuti e la navigabilità di Internet con la fruibilità e la semplicità televisiva. Introducendo contenuti prodotti dagli utenti, servizi della pubblica amministrazione, canali didattici». In altre parole una tivù ibrida, che porti sullo schermo televisivo usi e costumi della web tv, la televisione via Internet che si guarda sul personal computer, ma più facile da usare.

In questa direzione sta andando anche la Rai, che, pur cercando di valorizzare le sue specificità (vedi il successo della Rai 4 di Carlo Freccero in Sardegna), tiene d'occhio quello che da un po' di tempo è il modello di tutte le emittenti pubbliche d'Europa, cioè l'iPlayer della Bbc. Che cos'ha fatto la televisione di Sua Maestà? Per adeguare la propria offerta ai cambiamenti del pubblico ha messo i suoi contenuti su tutte le piattaforme digitali, da Internet ai telefonini. «A fine gennaio — dice Piero Gaffuri, responsabile dei Nuovi Media — lanceremo il restyling dei nostri portali maggiori, ampliando l'offerta e semplificando l'accesso. L'esperienza in corso, con il successo di siti come Televideo, 14 milioni di pagine viste al mese, è molto incoraggiante. L'azienda deve prendere una decisione sulle Teche, personalmente sono per trasformare quei contenuti formidabili in un materiale commercialmente vivo». Insomma non siamo ancora a Bbc iPlayer, ma i contenuti Rai distribuiti via Internet sono ormai una realtà importante. Certo, il salto alla dimensione iPlayer implica probabilmente una più chiara definizione dei compiti e della missione del servizio pubblico, oggi e in prospettiva. Matteo Maggiore, un manager italiano che rappresenta gli interessi della Bbc tra Londra e Bruxelles, racconta a questo proposito un aneddoto illuminante. «Un giorno — rivela — un importante manager della Rai mi chiede: scusa, ma, visto che vi finanziate solo con il canone e che non potete trasmettere pubblicità, perché avete fatto l'iPlayer? Io gli ho risposto con un'altra domanda: perché sennò che cosa ci sta a fare il servizio pubblico?». Dove si dimostra che la confusione dei ruoli, in Italia, regna ancora sovrana.

Edoardo Segantini
Focus - Corriere della Sera, 28 Dicembre 2008
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